sabato 9 febbraio 2013

Come un bel regalo: Angiolo D'Andrea e Finazzer Flory

Neve a Rauscedo
Era da Natale che volevo visitare la mostra di Angiolo D'Andrea a Palazzo Morando a Milano, ma per un motivo o per l'altro continuavo a rimandare. E chi è? penserete... e l'ho pensato anch'io, ma alle parole "simbolista", "divisionista" e... "friulano" il mio cuore è stato catturato e dovevo seguirlo. Un pomeriggio mia mamma mi chiama: "c'è Finazzer Flory che fa una lettura teatrale legata ad una mostra di un certo Agnolo o Angiolo D'Andrea...". "Quando?!". "Oggi alle 19". "Ok, vengo".


Gli ultimi posti liberi erano dietro un'arpa, in fondo, davanti a noi, lo schermo di un proiettore e presto, in un corridoio circondato dalle sedie degli altri spettatori che faceva da palco, l'ex assessore alla cultura Massimiliano Finazzer Flory. Attacca rapidissimo e la camminata è veloce, come la voce, come volute d'acqua, come lo sguardo che percorre un paesaggio "Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un tratto, tra un promontorio a destra e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni..."
E intanto dietro l'attore è comparso un lago: la proiezione di un quadro del nostro Angiolo.
M.F.F. poi si ingobbisce e si trasforma in Don Abbondio, con la sua goffa pusillanimità: la vanità dell'istrione diventa  ridicola, vera umanità.
Si susseguono poi poesie e brani di Rainer Maria Rilke, Giuseppe Ungaretti, Walt Withman, Jorge Luis Borges con l'arpa che a più riprese interviene e dialoga coi testi, ad esempio Le Onde di Einaudi si intrecciano alle parole di Le Onde di Virginia Woolf.
La musica poi cala e Finazzer lascia la scena.... "Mamma, ma ci sarà la possibilità di vedere la mostra adesso?" "Credo proprio di sì".
E "sì" era, ma non solo... c'era una guida a trasportarci nel percorso che con la delicatezza del racconto accompagnava i filamenti pastello delle opere di Angiolo D'Andrea. L'assonanza con Segantini, con Previati è evidente, ma mi pare inutile discutere su chi viene prima - che questi due si siano ispirati a D'Andrea è assai improbabile. Al nostro possiamo riconoscere la sensibilità, il gusto estetico, la spiritualità, la fantasia che lo pongono nella corrente simbolista e lo portano quindi, da autodidatta, a scegliere come modelli i pittori divisionisti celebri dell'epoca; e oltre a questo una grande abilità nel disegno - che si coglie soprattutto nei quadri di soggetto architettonico (pulpiti di chiese, le cattedrali, cartoni preparatori per vetrate etc.) - e nell'uso del colore: la pennellata è densa, materica, ma la resa finale appare liquida, dinamica, l'effetto è iridescente.
Scelgo per voi due opere che mi hanno emozionata.
Gratia Plena. Santità e solitudine sembrano complementari nell'opera di Angiolo D'Andrea, la Vergine Maria è infatti posta al centro di una architettura ideale, apparentemente incompiuta, una terrazza dai confini indefiniti, che si perde sfumando in fondo alla tela, che affaccia e che pare scendere con una scalinata accennata in un paesaggio roccioso, dolomitico. Ma chi ha fede anche solo non sarà mai solo, e così quelli che al primo sguardo appaiono come grossi batuffoli di cotone o che potrebbero dare l'idea di enormi fiori di magnolia sui rami di un albero contorto alle spalle di Maria, si scoprono essere degli angeli bianchi, rosei, azzurri, violetti immersi controluce nel momento sfuggente in cui il tramonto cede alla sera fissato per sempre nella tela.
L'altro è un quadro della sezione "lo spirituale nel naturale" ambientato in Valsugana che ritrae di sbieco una montagna con le ultime chiazze di neve sopra il terreno e l'erba rossastri, perché bruciati dal ghiaccio da cui riemergono dopo l'inverno e perché illuminati dal sole orizzontale del tramonto. Metà del quadro è incendiata di luce rossa, presentimento o illusione di estate, mentre nell'altra metà, dove la sera è già scesa i colori sono scuriti dall'ombra e realisticamente riportano al gelo della montagna. L'emozione è tutta mia probabilmente e si mischia con i ricordi, perché in quella che per l'artista era la Valsugana io ho visto la Carnia, dolce e tagliente, accogliente e gelida,  nella sua solare quiete.

La mostra



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